Per un romanzo che vuole avere qualche goccia di mistero, l’ambientazione in un luogo come Orvieto è l’ideale. Il libro di Valentina Pattavina, del resto ruota intorno ad un castagno millenario e maestoso che apre e chiude la storia, mostrandoci il corpo di un impiccato appeso a uno dei suoi rami, in una cornice oscura e dai contorni imperscrutabili. Uun fatto accaduto dieci anni prima e ormai dimenticato, che torna alla ribalta per un caso fortuito e condizionerà pesantemente le sorti dell’intera comunità. Città affascinante ed enigmatica, non fosse altro che per le sue origini etrusche – popolo che rimane per certi versi misterioso – è location adeguata per La libraia di Orvieto (edizioni Fanucci), il racconto della vita di Matilde, una quarantenne romana solitaria e dall’animo ferito. Proprio per certe vicissitudini di vita, la donna lascia la Capitale e sceglie di recarsi a Orvieto, città antica e bellissima, abbarbicata su una rocca giallastra di tufo, per cercare rifugio. Viene accolta da una comunità semplice e compatta, da un gruppo variegato ed eterogeneo di persone le cui esistenze si intrecciano a formare una catena indissolubile.
Al centro della vita di Matilde ci sono da sempre i libri, e adesso anche la libreria in cui le offrono lavoro, per metà antiquaria e per metà moderna. Le sue giornate si dipanano secondo ritmi lenti, a piedi o in sella all’inseparabile bicicletta, alla continua scoperta di scorci della città e dell’animo umano.
Gli eventi e i passaggi di tempo sono scanditi dalle sue letture, come se tra le righe di un racconto o i versi di una poesia si nascondesse il mistero del suo dolore, i suoi bubboni mai risolti. Ma anche Orvieto ha i suoi segreti, celati nelle case, nelle viscere dei pozzi, nei boschi di castagni che la circondano.