Un capolavoro nascosto sotto i piedi. Il pozzo di San Patrizio, dopo il Duomo, è il secondo monumento più apprezzato e visitato dai turisti. Sarà per la sua maestosità e o per la sua storia centenaria, sta di fatto che quest’opera esercita un indubbio fascino e invita ad esplorare l’Orvieto sotterranea.
La sua realizzazione risale al 1527 per volere di Papa Clemente VII che, scampato al sacco di Roma e rifugiatosi a Orvieto, volle garantire alla città l’approvvigionamento idrico in caso di assedio.
All’inizio si chiamava questa straordinaria opera di ingegneria idraulica cinquecentesca si chiamava pozzo della Rocca, dalla rocca fortificata di cui era a servizio, poi Purgatorio Di San Patrizio e solo nell’800 assunse la denominazione attuale di Pozzo di San Patrizio per dei frati del convento dei Servi che conoscevano bene la storia dell’omonimo santo irlandese.
La leggenda vuole che in un remoto paesino dell’Irlanda vivesse Patrizio, un famoso santo vescovo, al quale Cristo indicò un pozzo dove ritirarsi in preghiera che divenne poi meta di pellegrinaggio in quanto si pensava fosse direttamente collegato con l’aldilà.
Papa Clemente affidò la sua realizzazione all’architetto Antonio da Sangallo il giovane, che già stava lavorando sulle fortificazioni della città. A dirigere i lavori in sua assenza, c’era Giovanni Battista da Cortona.
Il pozzo, profondo 62 metri e largo 13, venne realizzato scavando prima nel tufo e poi nell’argilla. Ispirandosi alla scalinata della Villa Del Belvedere in Vaticano, Sangallo diede vita a un sistema elicoidale intorno al quale girano due grandi scale a chiocciola che non sono comunicanti tra di loro. Questo accorgimento faceva sì che chi scendeva a prendere l’acqua non intralciava chi risaliva. Ciascuna scala, che prende la luce da 72 finestre centinate che si aprono nella canna, è composta da 248 comodi scalini. Sul fondo il livello dell’acqua si mantiene costante grazie a un emissario che, in caso di necessità, fa defluire la quantità in eccesso.
All’esterno il pozzo si presenta come una bassa e larga costruzione cilindrica, decorata da gigli farnesiani di Paolo III. Su punti diametralmente opposti si aprono le due porte. Delle decorazioni si occupò lo scultore Simone Mosca. Per volere del Papa, Benvenuto Cellini coniò una moneta celebrativa che riportava la scritta “ut bibat populus” ossia “affinché il popolo beva”.