Adagiato tra le colline verdi della provincia di Terni, Acquasparta al primo sguardo è il classico paesino medievale umbro, dalle case di pietra e dai tetti spioventi. Chi lo direbbe mai che proprio tra quelle case e stradine, si cela uno dei più importanti gioielli del Rinascimento umbro? Palazzo Cesi svetta nel cuore della cittadina, sui resti di un’antica rocca di cui utilizza le torri, unici elementi superstiti.
Viene costruito per volontà di Gian Giacomo Cesi e della moglie Isabella di Alviano quando, nel 1540, ottengono il feudo da Pier Luigi Farnese, e anche se i lavori iniziano nel 1561 si concludono solo nel 1579, l’anno in cui si sposa il nipote di Gian Giacomo, Federico Cesi.
Ed è proprio grazie a Federico che Palazzo Cesi cresce, prospera e diventa un vero e proprio polo culturale destinato a passare alla storia: Federico Cesi lo elegge non solo a sua dimora stabile, ma a sede della sua Accademia dei Lincei. Fondata nel 1603, l’accademia si impegnava ad applicare il metodo sperimentale e scientifico alla conoscenza dei fenomeni naturali, ed ebbe tra i suoi più illustri esponenti Galileo Galilei, che fu anche ospite del palazzo di Acquasparta.
Il fascino di Palazzo Cesi si deve dunque all’aura di cultura che ancora vi si respira all’interno, ma non solo: l’edificio è un vero trionfo di arte, tra pregevoli soffitti lignei a cassettoni, magnifici affreschi e ricchi decori che raccontano l’importanza della famiglia Cesi. Eppure all’esterno la facciata è molto severa, priva di particolari orpelli, un semplice palazzo nobiliare come tanti.
Varcate le sue porte, però, ecco che si schiude la bellezza: le decorazioni che arricchiscono Palazzo Cesi sono considerate uno dei maggiori esempi della pittura di gusto romano in Umbria del periodo di rinascita del mondo cortese del cinquecento, e infatti sono intessute di mitologia, storie romane, trionfi e allegorie. Dall’androne si accede agli ambienti del piano terreno, in cui il pittore Giovan Battista Lombardelli – a cui si attribuiscono buona parte degli affreschi della dimora – si ispira principalmente alle storie mitologiche, con una particolare attenzione alle Metamorfosi di Ovidio.
Notevole, in particolare, la Sala di Callisto, voluta da Federico Cesi “Il Linceo” tra il 1618 e il 1624 e interamente dedicata al mito della ninfa amata da Giove e trasformata da Giunone in orsa. La scena al centro della volta deriva dal modello illustre del dipinto di Tiziano ora esposto a Vienna. I veri tesori di Palazzo Cesi, però, si trovano al piano nobile, a cui si accede dal portico con una scala che, anticamente, era ornata di statue sistemate dentro le nicchie.
Qui i saloni sono un tripudio di meraviglie a partire dai soffitti lignei a cassettoni. Intagliati su disegni di Giovanni Domenico Bianchi e probabilmente ispirati a quelli celebri del romano Palazzo Farnese. Particolarmente notevoli gli intarsi del salone di rappresentanza, che ritraggono Ercole, putti, trofei, armi e mascheroni, tutti a circondare lo stemma dei Cesi sorretto da due figure di Vittorie. Tra le molte decorazioni che abbelliscono le sale si trovano affreschi dedicati alla vita di Plutarco e alle imprese della famiglia Cesi, in particolare di Gian Giacomo e di Angelo Cesi, e alla celebrazione di Paolo Emilio, primo cardinale della famiglia, uomo ricchissimo, colto e potente.
Spesso è presente nelle sale lo stendardo con l’emblema dell’Accademia dei Lincei, la lince contornata da una corona d’alloro che simboleggia la ricerca scientifica, e molte targhe con iscrizioni e motti in latino, greco ed ebraico, volute da Federico Cesi per esprimere i suoi ideali di ricerca. Nell’arredo spiccano due importanti tele: Mosè e le figlie di Jetro; di Matteo Rosselli (Firenze 1578-1650) e la Fuga di Lot da Sadoma; di un pittore fiorentino suo contemporaneo.
Particolarmente degna di attenzione la maestosa Sala del Trono, il salone padronale del palazzo. Durante la visita, soffermatevi ad ammirare il grande camino: come testimonia la dedica, era proprio qui che Galileo Galilei e gli altri accademici discussero del rivoluzionario sistema aristotelico, e misero le basi per difendere lo studioso dalle accuse di eresie mosse dalla Chiesa. Non è difficile immaginare Federico, Galileo e i loro amici seduti proprio in questa sala, riscaldati dal fuoco mentre discutevano e sognavano un mondo diverso che non sarebbero arrivati a vedere, ma per cui hanno contribuito a gettare le basi.
(Martina De Angelis)